Quali elementi devono ricorrere per la concessione di pene alternative al carcere?
Basta la collaborazione o serve altro?
Basta la collaborazione o serve altro?
Lo Stato in generale e la Magistratura in particolare, durante le delicate fasi d’indagine volte allo smantellamento delle associazioni malavitose, hanno tutto l’interesse a rapportarsi con dei soggetti la cui “intraneità” al consorzio criminale, sia particolarmente forte.
È più che evidente, infatti, che le informazioni rese da personaggi che rivestono ruoli apicali e non marginali, per gli organi inquirenti, possono risultare determinanti per assestare un duro colpo alla compagine di provenienza.
Nella gran parte dei casi, i trascorsi di queste “fonti particolarmente privilegiate”, sono caratterizzati da fatti di allarmante gravità, che per il solo essersi verificati possono essere di ostacolo alla possibilità di beneficiare di pene alternative al carcere.
Questo principio è stato raccolto dalla stessa S.C. di Cassazione (Sent. n. 33275 del 27 agosto 2012) la quale ha precisato che per la concessione di pene alternative, non sono sufficienti una condotta dissociativa e i contributi conoscitivi offerti alle investigazioni, specie quando la gravità dei reati nella sua oggettività e l’entità della pena da espiare offrano indicazioni negative sulla capacità della misura richiesta di rieducare realmente il condannato.
L’elemento dirimente, in questo senso, è la sussistenza di concrete prospettive di risocializzazione.
Per tale motivo, l’attività del pentito dovrà certamente essere caratterizzata da una fattiva, costante e proficua collaborazione con la Giustizia ma, allo stesso tempo, il soggetto dovrà dare prova della praticabilità del percorso rieducativo intrapreso e della sua volontà di accogliere i valori della collettività sociale con una scelta definitiva di reintegrazione nel suo contesto e di prevenzione rispetto alla commissione di nuovi illeciti.
È più che evidente, infatti, che le informazioni rese da personaggi che rivestono ruoli apicali e non marginali, per gli organi inquirenti, possono risultare determinanti per assestare un duro colpo alla compagine di provenienza.
Nella gran parte dei casi, i trascorsi di queste “fonti particolarmente privilegiate”, sono caratterizzati da fatti di allarmante gravità, che per il solo essersi verificati possono essere di ostacolo alla possibilità di beneficiare di pene alternative al carcere.
Questo principio è stato raccolto dalla stessa S.C. di Cassazione (Sent. n. 33275 del 27 agosto 2012) la quale ha precisato che per la concessione di pene alternative, non sono sufficienti una condotta dissociativa e i contributi conoscitivi offerti alle investigazioni, specie quando la gravità dei reati nella sua oggettività e l’entità della pena da espiare offrano indicazioni negative sulla capacità della misura richiesta di rieducare realmente il condannato.
L’elemento dirimente, in questo senso, è la sussistenza di concrete prospettive di risocializzazione.
Per tale motivo, l’attività del pentito dovrà certamente essere caratterizzata da una fattiva, costante e proficua collaborazione con la Giustizia ma, allo stesso tempo, il soggetto dovrà dare prova della praticabilità del percorso rieducativo intrapreso e della sua volontà di accogliere i valori della collettività sociale con una scelta definitiva di reintegrazione nel suo contesto e di prevenzione rispetto alla commissione di nuovi illeciti.