I benefici di pena conseguenti alla collaborazione con la Giustizia devono applicarsi sempre o esistono casi in cui possono essere attenuati ad esempio quando il collaboratore rivestiva un ruolo apicale della struttura malavitosa?
Uno degli argomenti più dibattuti in tema di collaboratori di giustizia è certamente quello che riguarda l’attenuante della collaborazione ed il conseguente sconto di pena.
Molte sentenze delle Corti di merito, in particolare con riferimento ai boss, hanno seguito una non condivisibile linea di pensiero volta ad attenuare i benefici previsti dalla normativa, basando tale valutazione sulla vita anteatta dell’imputato.
L’attenuante speciale per la dissociazione di cui all’articolo 8, legge 203 del 1991, in realtà, si fonda in via esclusiva sul presupposto dell’utilità obiettiva dell’attività prestata dal collaboratore e non sulle ragioni (anche di mero interesse processuale) che possono averlo indotto a collaborare o ancora su considerazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato.
L’attività collaborativa è stata utile o meno. Solo questo rileva.
In alcuni casi, anzi, proprio il particolare ruolo svolto all’interno del sodalizio criminale può consentire di condividere con gli organi inquirenti un patrimonio di conoscenze di valore inestimabile.
Questa tesi, che ci ha permesso di conseguire importanti risultati processuali, ha trovato importante conforto da parte della sesta sezione della Suprema Corte di Cassazione.
Molte sentenze delle Corti di merito, in particolare con riferimento ai boss, hanno seguito una non condivisibile linea di pensiero volta ad attenuare i benefici previsti dalla normativa, basando tale valutazione sulla vita anteatta dell’imputato.
L’attenuante speciale per la dissociazione di cui all’articolo 8, legge 203 del 1991, in realtà, si fonda in via esclusiva sul presupposto dell’utilità obiettiva dell’attività prestata dal collaboratore e non sulle ragioni (anche di mero interesse processuale) che possono averlo indotto a collaborare o ancora su considerazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato.
L’attività collaborativa è stata utile o meno. Solo questo rileva.
In alcuni casi, anzi, proprio il particolare ruolo svolto all’interno del sodalizio criminale può consentire di condividere con gli organi inquirenti un patrimonio di conoscenze di valore inestimabile.
Questa tesi, che ci ha permesso di conseguire importanti risultati processuali, ha trovato importante conforto da parte della sesta sezione della Suprema Corte di Cassazione.